La Cina di Xi
Le proteste dilagano in tutta la Cina durante lo svolgimento del congresso
del Partito Comunista
Cina, Pechino. 16-22 ottobre 2022: è in corso il XX congresso del Partito Comunista Cinese. Sono presenti circa 2000 persone, in rappresentanza di circa 97 milioni di persone e 38 unità territoriali. A capo delle Forze Armate, della Repubblica Popolare Cinese e del partito c’è Xi Jinping. Eletto nel novembre 2012 durante il XVIII congresso comunista, ricopre cariche rilevanti nel partito dal 2002, quando diventa membro del Comitato Centrale. Nel 2007 ricopre temporaneamente la carica di sostituto governatore di Shanghai, per poi essere nominato l’anno successivo vicepresidente della Repubblica dall’allora presidente Hu Jintao.
Il congresso si apre con un suo lungo discorso in cui più volte ribadisce la grande forza del comunismo in chiave cinese, con un grande tributo alle idee di Marx, agli atti di Lenin e alle imprese di Mao. Al centro del discorso ci sono tre temi: l’ordine, la sicurezza e il cosiddetto sogno cinese.
All’interno della Cina l’ordine è un lontano ricordo, come testimoniano diversi documenti video. A Pechino, Shanghai, Hong Kong, Chongqing e Nanchino sono in corso diverse proteste contro la politica “zero Covid” voluta proprio dal Presidente Xi. Politica in realtà ormai puramente velleitaria, vista la diffusione esponenziale della variante Omicron del virus. Qui Il sistema cinese è crollato: lavoratori chiusi in fabbriche e uffici, senza alcun preavviso e senza né cibo né acqua. Donne e uomini chiusi in negozi e supermercati nelle stesse condizioni e senza alcun preavviso. Da questi luoghi in molti sono fuggiti e sono nate proteste contro la polizia e i delegati del partito. A Pechino sono addirittura comparsi diversi striscioni con scritte quali “No ai tamponi, vogliamo cibo” e “Xi dimettiti”.
Nonostante abbia compreso che la politica zero Covid sia impraticabile, il presidente Xi non recede in materia di ordine. Continuano infatti le repressioni feroci nelle più grandi città, proteste non solo per la situazione sanitaria, ma anche per chiedere un profondo cambiamento nella politica cinese. I giovani si ritrovano in piazza per criticare il metodo di governo di Xi, intonando l’Internazionale e leggendo passi dalle poche copie del Capitale di Marx in circolazione in Cina. Altri invece si radunano in strada con fogli bianchi, simbolo del bavaglio posto dal governo alla libertà di espressione. Le risposte del regime sono tuttavia immediate e violente.
Ma l’oggetto delle proteste non sono solo le norme anti-Covid. Cos’altro suscita l’indignazione del popolo cinese che manifesta? I più direbbero che il motivo sia una richiesta di maggiore democrazia e libertà. È proprio così? Probabilmente no. Il Partito Comunista e i cinesi condividono una sorta di accordo non scritto risalente ai tempi della rivoluzione maoista: i cittadini lavorano e fanno muovere la macchina economica; in cambio, la classe politica deve essere molto competente e in grado di portare la Cina in alto nel mondo. Con quest’ultimo congresso comunista in realtà questo patto si è rotto. Il presidente Xi non ha nominato secondo competenza, scegliendo invece i membri del governo e del partito tra i suoi fedelissimi. Insomma, in Cina attualmente conta di più essere fedeli al leader supremo, piuttosto che essere competenti.
Nel frattempo però l’ascensore sociale si è rotto e la crescita è stimata al 3%, non al consueto 12% cui la Cina ci ha abituato. Basteranno le promesse di Xi per risolvere i problemi di ordine pubblico?
Antonio M. Stoppini, 5B Liceo Classico