Banksy does New York

In 4B liceo classico, con un salto temporale che ci ha catapultati dal Rinascimento all’arte contemporanea, abbiamo visto il film Banksy does New York (2014). La professoressa ci ha poi invitati a mettere nero su bianco le nostre riflessioni, che desideriamo condividere.

Banksy Does New York - Official Trailer - YouTube

Il poeta e scrittore italiano Cesare Pavese scrisse: “Tutta l’arte è un problema di equilibrio tra due opposti”. I due opposti, entro i quali l’arte e l’artista esercitano il loro mestiere, potrebbero essere la quiete e il
turbamento; l’arte, in senso lato, è forse l’unica materia esistente in questo mondo in cui l’uno non esclude
l’altro.
In questo spettacolo di vortici, Banksy gioca il ruolo di equilibrista, uno di quelli bravi, capace di reggersi su
una corda talmente alta da rendersi invisibile. Questa posizione gli permette di vedere il mondo da una
prospettiva tanto stupefacente quanto inquietante. La parola chiave è paradosso; l’unico strumento in grado di ribaltare mentalità programmate per la linearità è il paradosso e in questo risiede l’intero suo repertorio.

Inseguendo Banksy a New York - Cronache Letterarie


Il progetto Banksy esiste per lanciarci una sfida, è come se ci chiedesse: “sei davvero sicuro di star vivendo
con gli occhi aperti?”. Ed è terrificante scoprire, osservando le sue opere, che la risposta è no.
L’arte di Banksy è una subdola smascheratrice: non fa semplicemente cadere il “velo di Maya” ma lo
squarcia, lo dilania e nel farlo pare divertirsi, vuole scatenare una reazione che, forse, dica anche più dell’arte stessa. Nella reazione del pubblico si consuma la parte conclusiva dell’atto artistico, l’arte senza pubblico non potrà dirsi conclusa e finché ci sarà qualcuno a guardarla, quest’ultima avrà sempre qualcosa da raccontare. Ed ecco, di fronte a un’arte rivelatrice, il paradosso: paradossale è l’inconsapevolezza in un mondo disseminato di campanelli di allarme, l’inerzia in un mondo che procede a ritmi incostanti, l’indifferenza in un mondo lacerato da ingiustizie.

La forza del nostro equilibrista però sta nel suo schieramento: Banksy è una sorta di Robin Hood-artista del XXI secolo; è dalla parte delle masse, e ciò è del tutto incontestabile dato il suo anonimato e data la sua
opera lontana da fini lucrativi. Per questo il suo posto è per strada, dove lui sceglie di porre le sue opere, dove queste hanno senso di esistere perché a portata del pubblico a cui sono destinate: la gente.

Mostra di Banksy a Genova: “War, Capitalism & Liberty”

È perciò traumatizzante vedere i suoi graffiti estratti dai muri ed esposti in teche di vetro in mostre private, le quali si svolgono in strutture dalle pareti candide, in atmosfere meditative. Si coglie nuovamente il paradosso in tutta la sua potenza, tanto che si arriva a chiedersi: “che sia questo il vero atto conclusivo del suo spettacolo artistico? Possibile che ora Banksy stia passeggiando tra le sale della mostra e stia ridendo vedendo la sua opera in una teca, protetta dal mondo a cui appartiene, resa inaccessibile al suo pubblico?” Lo spettacolo artistico si tramuta in commedia grottesca: l’arte che prima denunciava le ingiustizie perpetrate dal sistema capitalistico, ora diventa esca di guadagno e arricchimento dello stesso sistema (e può questo dirsi effettivamente un guadagno?).

Banksy Does New York


Banksy lascia il suo pubblico con tante domande e pochissime risposte. D’altronde non è lui nella posizione
di darcene, ma ci insegna la facilità e la necessità del porsi le giuste domande, le quali sono già metà della
risposta.
Mentre ci poniamo le domande, però, godiamoci lo spettacolo del nostro equilibrista e speriamo che non si
chiuda mai il suo sipario.

Alexia Giorla, IVB Liceo Classico

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